Il fascicolo uncinato di sinistra nel disturbo autistico

 

 

DIANE RICHMOND & GIOVANNI ROSSI

 

 

 

NOTE E NOTIZIE - Anno XIV – 17 settembre 2016.

Testi pubblicati sul sito www.brainmindlife.org della Società Nazionale di Neuroscienze “Brain, Mind & Life - Italia” (BM&L-Italia). Oltre a notizie o commenti relativi a fatti ed eventi rilevanti per la Società, la sezione “note e notizie” presenta settimanalmente lavori neuroscientifici selezionati fra quelli pubblicati o in corso di pubblicazione sulle maggiori riviste e il cui argomento è oggetto di studio dei soci componenti lo staff dei recensori della Commissione Scientifica della Società.

 

 

[Tipologia del testo: RECENSIONE]

 

Dopo decenni di diatribe con coloro che negavano l’esistenza di una base cerebrale per quelle sindromi attualmente comprese nella definizione nosologica di Disturbi dello Spettro dell’Autismo, si è giunti alla consapevolezza condivisa della necessità di approfondire lo studio delle atipie morfo-funzionali di sviluppo del cervello dei bambini affetti, sia per comprenderne meglio gli stili e le dinamiche psichiche, sia per cercare di scoprire la patogenesi dei sintomi.

A lungo, improbabili forme di psicoterapia basate su giochi simbolici che avrebbero “sciolto il nodo” problematico serrato dall’inconscio, spesso associate alla colpevolizzazione dei genitori ritenuti responsabili di tale “reazione”, hanno tenuto lontani i bambini autistici dagli esercizi che attualmente migliorano in modo considerevole le loro prestazioni, e dagli approfondimenti diagnostici che in numerosi casi rivelano la presenza di elementi da monitorare o da trattare.

La strenua difesa faziosa di convinzioni preconcette, prive di fondamento logico-empirico e trasmesse come un credo ideologico da scuole di psicologia[1], ha rallentato in vario modo i progressi nella conoscenza neuroscientifica dei disturbi pervasivi dello sviluppo che si presentano con i sintomi del disturbo autistico. In particolare tali scuole, spesso molto influenti sulla cultura generale attraverso i media e la scuola, con il loro attivismo e la loro didattica, suggerendo l’idea che lo studio della biologia e della neurofisiopatologia di queste condizioni fosse un’opzione controversa, ne hanno di fatto scoraggiato il finanziamento. Decenni di resistenza ed aperta opposizione verso la ricerca biomedica nel campo dell’autismo hanno anche favorito l’accesso di “saperi alternativi” e il moltiplicarsi di pseudo-esperti che, oltre ad arrecare danni direttamente con la propria ignoranza, hanno contribuito a diffondere idee derivate da convinzioni sottoculturali, che hanno creato un humus favorevole al diffondersi di frodi, come far credere che i vaccini fossero la causa delle sindromi autistiche.

Il passo assunto di recente dalla ricerca fa sperare, se non proprio in un recupero del tempo perduto, almeno in un’accelerazione nel progredire delle conoscenze che consenta di distinguere ed operare ripartizioni per ipotetiche categorie causali, così da indirizzare lo sviluppo di programmi di prevenzione almeno per quelle minoranze casistiche per le quali si ritiene sia possibile.

Il lavoro oggetto di questa recensione non è di quelli che indagano i processi eziologici o patogenetici, ma appartiene alla categoria di più modesta portata degli studi volti ad identificare nel cervello le sedi dei processi alterati che spiegano le manifestazioni cliniche. Anche se alla luce delle conoscenze attuali si tende a ritenere che i risultati di tali studi potranno gettare luce sulla fisiopatologia solo di una parte della casistica, perché la stessa categoria di sintomi potrebbe essere causata da disfunzioni in sedi diverse delle reti che mediano le funzioni, rimangono sempre molto interessanti gli esiti, anche perché contribuiscono a farci conoscere le basi cerebrali ancora ignote di aspetti delle nostre attività psichiche e del nostro comportamento.

Samson e colleghi hanno verificato l’ipotesi di un ruolo del fascicolo uncinato di sinistra in processi affettivi e di interazione sociale deficitari nei disturbi dello spettro dell’autismo.

(Samson A. C., et al. White matter structure in the uncinate fasciculus: Implications for socio-affective deficits in Autism Spectrum Disorder. Psychiatry Research 255: 66-74, 2016).

La provenienza degli autori è la seguente: Swiss Center for Affective Sciences, Campus Biotech, University of Geneva, Geneva (Svizzera); Stanford Center for Cognitive and Neurobiological Imaging, Stanford University, Stanford, CA (USA); Department of Psychiatry and Behavioral Sciences, Stanford University School of Medicine, Stanford, CA (USA); Department of Psychology, Stanford University, Stanford, CA (USA).

Dal 1943, quando Leo Kanner impiegò per la prima volta il termine autismo[2] per riferirsi ai deficit sociali ed emotivi di 11 bambini (early infantile autism)[3], la concezione del disturbo autistico e più in generale delle sindromi dello spettro dell’autismo[4] si è notevolmente evoluta e, sebbene si sia conservata l’attenzione per le manifestazioni della prima descrizione, una particolare focalizzazione ha riguardato il difetto di sviluppo delle abilità di comunicazione verbale.

I criteri diagnostici maggiormente seguiti in tutto il mondo, ossia quelli dell’ICD e del DSM, si basano su una triade di difetti:

a) problemi evolutivi nella sfera della comunicazione;

b) gravi e persistenti deficit di rapporto interpersonale e interazione sociale;

c) presenza di attività e comportamenti ripetitivi, rigidi e stereotipati.

Il modo in cui la diagnosi viene attualmente posta negli USA e in molti paesi europei, incluso il nostro, ha portato ad una estensione ampia che include bambini con “condotte simil-autistiche”, in passato considerate primariamente in rapporto al profilo di ritardo di sviluppo nelle varie linee neuroevolutive. Con criteri così ampi, quasi la metà dei bambini diagnosticati non presenta gravi deficit intellettivi e solo una minoranza presenta un grave disturbo della comunicazione verbale. In realtà, secondo i criteri più restrittivi impiegati 25-30 anni fa, solo in presenza di una grave compromissione dello sviluppo cognitivo-comunicativo si poneva la diagnosi di autismo. È difficile dire, allo stato attuale delle conoscenze, quale dei due atteggiamenti diagnostici rifletta maggiormente la realtà neuropatologica, anche perché, sebbene si consideri quella dell’autismo una categoria diagnostica, i dati emergenti dagli studi genetici e dalla complessità fenotipica supportano più un approccio dimensionale che categoriale[5].

Già nel 1971 è stato osservato da Wing e Wing che le alterazioni che compongono nel loro insieme il quadro autistico possono variare per gravità indipendentemente l’una dall’altra e presentarsi isolatamente in numerose condizioni cliniche dell’infanzia[6]. Nel 1996 McBride e colleghi, dopo l’esame dettagliato di un’ampia casistica, raccomandavano uno studio analitico accurato delle singole manifestazioni come domini di funzione/disfunzione del sistema nervoso centrale e proponevano questa previsione: “…i progressi verranno da un’accurata descrizione e misurazione, e da approfondite considerazioni delle interazioni fra i domini”[7]. La difficoltà di concepire e sviluppare progetti di ricerca, soprattutto in campo genetico, sulle basi biologiche di singoli domini comportamentali ha fatto sì che l’approccio della ricerca basato sulla diagnosi categoriale sia stato conservato anche nel terzo millennio, a dispetto delle numerose evidenze sui limiti di questo approccio[8].

Nel 2007 Gupta e State si sono espressi così: “Se l’autismo non è una singola entità ma un insieme di fenotipi sovrapponibili risultanti dall’azione combinata di molti alleli di rischio, sembra logico che un approccio che scomponga la presentazione clinica in componenti biologicamente rilevanti possa essere più efficace di uno che si basi su diagnosi categoriali”[9].

Tali considerazioni sulla diagnosi costituiscono un aiuto prezioso per la comprensione degli esiti degli studi anatomici e di neuroimmagine sul cervello di persone affette da disturbi dello spettro dell’autismo.

Le alterazioni morfo-strutturali macroscopiche dell’encefalo che si accompagnano ad autismo sono state tradizionalmente studiate mediante osservazione autoptica e poi, con lo sviluppo delle metodiche di neuroimmagine, sempre più dettagliatamente in vivo e nelle varie età della vita.

Il primo studio condotto mediante risonanza magnetica nucleare (MRI, da magnetic resonance imaging) a metà degli anni Ottanta rilevò reperti di ipoplasia/displasia del cervelletto e, per la concordanza fra diversi casi, suggerì come caratteristica dell’autismo l’ipoplasia del verme del cervelletto. Sebbene vi siano stati altri rilevi simili nel corso degli anni[10], la maggior parte delle osservazioni condotte su campioni estesi non ha confermato questo reperto come caratteristico. Nei trenta anni successivi, lo studio delle alterazioni anatomiche encefaliche associate a manifestazioni cliniche dello spettro dell’autismo ha diretto maggiormente l’attenzione sulla corteccia cerebrale[11], su strutture del lobo temporale mediale, quali amigdala ed ippocampo, e sul corpo calloso.

L’ipotesi di un alterato sviluppo del neoencefalo e della corteccia in particolare, dalla quale dipende una parte notevole del volume cerebrale, nacque dall’osservazione di macrocefalia evidente prima dei due anni in bambini con sintomi autistici.

Rilievi accurati hanno poi stabilito intorno al 20% la proporzione di bambini affetti da disturbi dello spettro dell’autismo che presenta un’aumentata circonferenza cranica. Un tale reperto potrebbe indicare l’inefficienza, durante lo sviluppo, dei meccanismi di selezione di sinapsi e neuroni che, come previsto dalla teoria di Gerald Edelman, consistono prevalentemente nell’eliminazione competitiva degli elementi ridondanti meno adatti alla soddisfazione delle esigenze del piano genetico. In altri termini, l’aumentata dimensione del cervello e perciò del cranio sarebbe la conseguenza di un difetto di riduzione maturativa. Sulla base di questi rilievi non si può escludere che un quinto di tutti i bambini diagnosticati secondo i criteri attuali possa costituire un sottogruppo specifico per patogenesi.

Intanto, gli studi sull’evoluzione dell’encefalo in queste condizioni suggeriscono che le alterazioni della cronologia di sviluppo più che l’esito dello sviluppo stesso possono essere diagnostiche di autismo.

Numerosi gruppi di ricerca hanno raccolto dati che provano la crescita precoce del cervello, e in particolare dei lobi frontali, durante i primi anni di vita dei bambini autistici. Vari lavori di osservazione hanno documentato che, alla nascita, il cervello dei neonati affetti può essere sia di volume normale sia di volume lievemente inferiore alla norma; un reperto che assomiglia a quanto emerso dai rilievi effettuati sulle persone adulte diagnosticate del disturbo.

In proposito si ricorda che lo sviluppo dell’encefalo è un fenomeno biologico complesso, costituito da eventi interconnessi simultanei e in sequenza, cronologicamente regolati nel loro insieme da perfetti meccanismi che obbediscono a rigidi criteri di durata temporale. Se si verificano eventi che in una o più regioni condizionano l’uscita dal piano complessivo di integrazione tempi/processi, ne risentono gli schemi di configurazione delle connessioni (connectivity patterns) con conseguente alterazione della fisiologia cerebrale[12].

Oltre la corteccia cerebrale, varie altre regioni, aree e nuclei cerebrali sono stati esaminati. Una particolare attenzione è stata rivolta all’amigdala, in quanto il complesso nucleare amigdaloideo interviene in numerosi processi emozionali ed affettivi, oltre che in procedure cognitive legate alla salienza e ad altri valori, e per molto tempo è stato studiato in relazione alla paura e ad altre emozioni ed affetti che presentano un profilo atipico e difettuale nelle persone autistiche. Inoltre, l’amigdala sembra intervenire nella modulazione di alcune forme di interazione sociale precipuamente deficitarie in queste sindromi. Fisiologicamente, il complesso nucleare dell’amigdala continua a svilupparsi durante l’infanzia e l’adolescenza, con un incremento di dimensioni di circa il 40% del suo volume nella decade che va dagli 8 ai 18 anni, mentre una parte notevole del cervello circostante, per la maturazione selettiva, addirittura si riduce di volume del 10%. In bambini e ragazzi di sesso maschile affetti da autismo[13], specificamente studiati al riguardo, l’amigdala raggiunge le dimensioni definitive intorno agli otto anni e rimane immutata negli anni seguenti e per il resto della vita[14].

Uno specifico approfondimento meriterebbero gli studi sul corpo calloso, la principale struttura di interconnessione fra gli emisferi cerebrali, ma sono difficili da riassumere. Ci limitiamo qui a ricordare che la parziale agenesia del corpo calloso può accompagnarsi o meno a sintomatologia autistica, e che Kim Peek, l’uomo che ha ispirato il film “Rain Man”, aveva un cervello privo del corpo calloso e dei pilastri del fornice, con difetti strutturali nelle due commessure e nel cervelletto.

Altri studi hanno focalizzato l’attenzione sulle differenze nella composizione di regioni cerebrali in materia grigia e sostanza bianca. La prima costituita prevalentemente da aggregati di corpi cellulari (pirenofori) di neuroni e la seconda dai cilindrassi (assoni) rivestiti di mielina oligodendrocitica che compongono le connessioni macroscopicamente evidenti all’interno dell’encefalo. È emerso che le alterazioni volumetriche della sostanza bianca sono un indice più fedele di patologia autistica delle differenze riscontrate nella materia grigia. Si ritiene che l’aumentato volume cerebrale responsabile della macrocefalia di circa il 20% dei bambini con sindromi autistiche sia dovuto, in massima parte, ad uno sproporzionato incremento della sostanza bianca[15]. Alcuni studi hanno documentato un volume maggiore di sostanza bianca nei bambini autistici fra i 2 e i 3 anni: differenza che scompare nell’adolescenza.

In generale, gli studi sulle basi anatomiche dei disturbi dello spettro dell’autismo hanno accertato che non è possibile indicare una o poche regioni encefaliche caratteristicamente ed esclusivamente interessate. Il grado e l’estensione delle regioni interessate varia molto e si ritiene che ciò dipenda dalla patogenesi e da quanto l’eziologia sia genetica o non genetica.

Il rilievo di differenze morfologiche macroscopiche spesso limitate fra affetti e normodotati ha incentivato lo sviluppo degli studi sulle alterazioni strutturali microscopiche e sulla neurochimica dell’autismo. Nel complesso questa ricerca conferma la nozione di una molteplicità di cause e di una varietà di forme, suggerendo la necessità di nuovi approcci, di nuove direzioni e criteri di studio.

Nonostante i grandi sforzi compiuti per definire con precisione i correlati morfo-funzionali dei deficit nelle abilità comunicative e nella capacità di regolare le emozioni, le basi cerebrali di questi sintomi del disturbo autistico non sono ancora chiare. Evidenze emerse da studi recenti hanno individuato nella connettività strutturale corrispondente al fascicolo uncinato di sinistra la possibile sede di un deficit neurofunzionale in tutto o in parte responsabile di tali difetti di fisiologia psichica e comportamentale. Gli autori dello studio qui recensito hanno perciò analizzato questo tratto di sostanza bianca.

Il fascicolo uncinato fa parte delle fibre di associazione intraemisferiche e, in particolare, delle fibre di associazione lunghe[16] che, tipicamente, sono raccolte a formare fascicoli ben individuati e dettagliatamente descritti nelle trattazioni classiche di anatomia del cervello umano. Le fibre del fascicolo uncinato collegano l’area motoria del linguaggio descritta da Broca (area 44 di Brodmann) e le circonvoluzioni orbitali del lobo frontale con la corteccia del polo temporale. In particolare, le sue fibre nascono dalla porzione orbitaria dei giri frontali medio e inferiore, e si dirigono indietro, verso l’insula (di Reil). Poi piegano in basso e in avanti, con una curva stretta ad uncino - da cui il nome - attraversano la parte inferiore del claustro e vanno a terminare nel polo temporale, in prossimità del corpo amigdaloideo. In questa ultima parte, il fascicolo uncinato si estende dalla capsula estrema alla sostanza perforata anteriore.

Il collegamento fra aree corticali frontali implicate nella comunicazione e nell’elaborazione cognitiva con aree temporali connesse con le formazioni limbiche particolarmente attive nell’elaborazione delle componenti emozionali ed affettive degli stimoli, indica il fascicolo uncinato di sinistra quale struttura mediatrice del socio-affective processing.

Samson e colleghi, mediante la tecnica della DTI (diffusion tensor imaging), hanno valutato la struttura della sostanza bianca del fascicolo uncinato di destra e di sinistra in un campione di 36 volontari, costituiti da 18 affetti da un disturbo dello spettro dell’autismo (ASD) con un elevato livello di prestazione (high-functioning), e 18 persone con caratteristiche in tutto corrispondenti, ma con uno sviluppo neuropsicomotorio nella norma (TD, da typically developing).

La DTI, come è noto, è una tecnica di visualizzazione basata sulla risonanza magnetica nucleare, che sfrutta l’anisotropia dei tratti di sostanza bianca per evidenziarne struttura e direzione. La compartimentazione mediante membrane biologiche, infatti, conferisce all’acqua contenuta nelle strutture cellulari e subcellulari uno status di virtuale immobilità che, nella realtà fisica, consiste in un moto in ugual misura nelle tre direzioni (isotropia). Tale proprietà viene a mancare all’interno degli assoni che costituiscono le fibre di connessione della sostanza bianca, nelle quali le molecole d’acqua fluiscono seguendo una particolare direzione (anisotropia).

Il tensore, mediante il calcolo infinitesimale[17], può definire distanza, angolo e volume per lo studio di strutture anatomiche, quali i fasci di associazione del telencefalo, nelle quali una dimensione prevale nettamente sulle altre due.

Per valutare la specificità delle associazioni, i ricercatori hanno esaminato, oltre alla correlazione con i comportamenti affettivi e sociali, la corrispondenza fra le immagini del fascicolo uncinato e le altre due aree nevralgiche delle manifestazioni cliniche, ossia la restrizione degli interessi e i comportamenti ripetitivi.

L’analisi delle immagini ha rivelato che, rispetto ai soggetti di controllo con uno sviluppo tipico del sistema nervoso, gli affetti da ASD presentavano un’anisotropia frazionale (FA) notevolmente più bassa, sia nel fascicolo uncinato di sinistra sia nel fascicolo uncinato di destra.

Lo status di gruppo moderava in maniera significativa l’associazione fra il fascicolo uncinato di sinistra e i deficit socio-affettivi, indicando che, all’interno dei 18 affetti da ASD, la FA era associata a difetti di affettività e socialità: gli affetti da ASD con una bassa FA nel fascicolo uncinato di sinistra presentavano, in misura significativamente più marcata, problemi di regolazione del comportamento sociale e delle emozioni.

Interessante rilevare che Samson e colleghi non hanno riscontrato alcuna associazione con gli altri due poli disfunzionali del disturbo, ossia la restrizione degli interessi e le condotte ripetitive.

L’insieme delle immagini, per il cui dettaglio descrittivo ed interpretativo si rinvia al testo integrale del lavoro originale, suggerisce che il fascicolo uncinato di sinistra possa svolgere un ruolo critico nel deficit di abilità socio-affettive tipico dei disturbi dello spettro dell’autismo.

 

Gli autori della nota ringraziano la dottoressa Isabella Floriani per la correzione della bozza ed invitano alla lettura delle recensioni di argomento connesso che appaiono nella sezione “NOTE E NOTIZIE” del sito (utilizzare il motore interno nella pagina “CERCA”).

 

Diane Richmond & Giovanni Rossi

BM&L-17 settembre 2016

www.brainmindlife.org

 

 

 

 

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[1] Sostanzialmente alcune scuole psicologiche di impostazione psicodinamica sostenevano un’origine psicogena dei sintomi, secondo modelli psicoanalitici sviluppati per l’adulto e concepiti in contrapposizione con i modelli di eziopatogenesi da costoro definiti “organicisti” perché fondati sulle conoscenze di fisiologia e patologia del cervello.

[2] Ricordiamo che nella semeiotica psichiatrica dell’adulto il termine si riferisce al funzionamento mentale autoreferenziale tipico di varie forme di psicosi e, in particolare, della schizofrenia. Tipicamente nel Novecento si distingueva fra un autismo ricco (produttivo, con soliloquio rivolto a un interlocutore interno) e un autismo povero (esclusivamente ideativo) secondo Minkowski.

[3] Tutti di sesso maschile.

[4] Includono il disturbo autistico propriamente detto, la sindrome di Asperger (attualmente esclusa dal DSM-5) e il disturbo pervasivo dello sviluppo infantile non altrimenti specificato (autismo atipico); a questi si accostano spesso il disturbo disintegrativo dell’infanzia e la sindrome di Rett.

[5] George M. Anderson dedica a questo argomento un paragrafo del capitolo The Neurochemistry of Autism in Basic Neurochemistry (Brady, Siegel, Albers, Price), p. 1013, AP Elsevier, 2012.

[6] Wing L. & Wing J. K., Journal of Autism & Childhood Schizophrenia 1: 256-266, 1971.

[7] Mc Bride P. A., et al., Archives of General Psychiatry 53: 980-983, 1996.

[8] Scolasticamente l’errore è evidente: la mancanza di coesione intrinseca fra le componenti impedisce al loro insieme di costituire un singolo e definito oggetto sperimentale del quale si cercano le cause.

[9] Gupta A. R. & State M. W., Recent advances in the genetics of autism. Biological Psychiatry 61: 429-437, 2007. A chi voglia approfondire l’argomento si suggerisce l’interessante discussione di Francesca Happé e colleghi in una rassegna diventata ormai un riferimento imprescindibile in questo campo: Happé F., et al. Time to give up on a single explanation for autism. Nature Neuroscience 9, 1218-1220, 2006.

[10] Uno di noi ha visto tre casi con ipo-displasia degli emisferi cerebellari con interessamento del verme inferiore.

[11] Le regioni più interessate e il tipo di alterazione (ridotto spessore, diminuzione delle circonvoluzioni, alterazioni microscopiche, ecc.) variano però da studio a studio, con alcuni elementi comuni, la cui descrizione esula dai limiti di questa recensione.

[12] È stato osservato ed apparentemente provato che anche la comparsa di una eteroplasia o di una malformazione vascolare nel corso dell’embriogenesi può essere responsabile di un disturbo pervasivo dello sviluppo. Tuttavia, non si può escludere l’esistenza di cause in origine comuni per tutte queste espressioni di patologia neuroevolutiva.

[13] Le differenze legate al sesso sono molte e importanti da conoscere sia per comprendere meglio i disturbi dello spettro dell’autismo, sia per comprendere più in generale l’influenza del sesso su sviluppo e funzionamento normale e patologico dell’encefalo umano. Interessanti gli studi in proposito di Thomas Frazier della Cleveland Clinic e di Kevin Pelphrey, ricercatore nel campo dell’autismo che ha avuto una figlia affetta ma non diagnosticata per anni, nonostante le competenze del padre, perché i criteri diagnostici in uso derivano dallo studio quasi esclusivo di maschi.

[14] Cfr. Schumann C. M., et al. Journal of Neuroscience 24: 6392-6401, 2005; Uta Frith, Francesca G. Happé, David G. Amaral e Stephen T. Warren, in Principles of Neural Sciences (Kandel, Schwartz, ecc.) 5th ed., cap. 64 (Autism and Other…), p. 1429, McGrawHill, 2013.

[15] Uta Frith, Francesca G. Happé, David G. Amaral e Stephen T. Warren, op. cit., ibidem.

[16] Sono costituite da: 1) cingolo (appartenete al rinencefalo); 2) fascicolo longitudinale superiore; 3) fascicolo longitudinale inferiore; 4) fascicolo uncinato; 5) fascicolo occipito-frontale (Cfr. Gray’s Anatomy, Testut & Latarjet, Chiarugi, ecc.).

[17] Per superare i limiti del modello matematico del tensore di diffusione, sono stati recentemente introdotti il QSI (q-space imaging) e il GDTI (generalized diffusion tensor imaging). In ogni caso, dal tensore di diffusione, mediante elaborazione, si ricavano misure dell’anisotropia di diffusione, come l’anisotropia frazionale.